PER MODERNIZZARE LA GIUSTIZIA, VALORIZZIAMO LE PERSONE, CORREGGENDO LE DISTORSIONI NEL RAPPORTO TRA MAGISTRATURA E AMMINISTRAZIONE. 

L'inaugurazione dell'anno Giudiziario 2023 si colloca in una stagione non semplice per il Paese e l’intero contesto internazionale. Tuttavia, l'inizio di una legislatura che si prevede duratura, carica di attese e di speranze tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell'amministrazione della Giustizia.

Noi Dirigenti dello Stato che operiamo in questo Ministero auspichiamo che la stabilità e l'ampiezza della maggioranza di governo siano prodromiche ad una stagione di reale modernizzazione e di miglioramento del servizio offerto ai cittadini.

Un aspetto su cui intendiamo attirare l'attenzione è il modello di governo degli uffici e, nell'insieme, dell'organizzazione giudiziaria. 

Il fenomeno che non è mai sufficientemente evidenziato è una crescente tracimazione del ruolo della magistratura verso compiti gestionali. 

Da un lato vengono affidati ai magistrati compiti di gestione amministrativa che sarebbero coerentemente di spettanza della Dirigenza dello Stato. 

Dall'altro si svilisce e mortifica il ruolo di quest'ultima. Con il risultato che sempre meno sono i Dirigenti che vogliono lavorare negli uffici giudiziari e presso il Ministero, ove sono relegati, a funzioni quasi ancillari, quali – a mero titolo di esempio - gli adempimenti dei commissari ad acta legge Pinto e la minuta gestione del personale.

Ciò determina un doppio corto circuito: da una parte si conferiscono ai magistrati poteri e ruoli che esondano dal circuito della giurisdizione, dall'altro ci si priva dell'apporto professionale, che potrebbe essere decisivo, di una moderna e valente Dirigenza professionale.

Il prestigio della giurisdizione si riguadagna anche facendo in modo che i magistrati....facciano i magistrati! Che esercitino e governino, cioè, la giurisdizione.

La Dirigenza dello Stato ha molto da dare a questo Ministero e può contribuire in misura decisiva ad accrescere il livello del servizio offerto al Paese. Bisogna consentirle di farlo, con quella "disciplina e onore" che la Costituzione prevede.

Su questo chiediamo quindi al Ministro della Giustizia un vero cambio di passo, atteso da sempre, unico possibile volano per una vera riforma della Giustizia. 

Ponendo rimedio - in primis - all’irresponsabile abbandono di ogni politica di reclutamento per la dirigenza dell’Amministrazione giudiziaria. 

Se per il “personale delle aree” la scopertura dell’organico, pur al netto degli Addetti all’UPP e dei “tecnici” per il PNRR, a fronte di una dotazione organica di 43.468 unità - così come stabilita ai sensi del D.P.C.M. n. 54 del 2022 - è passata dal 24,46 % al 31 dicembre 2021 a quella attuale, pari al 25,11%, per i Dirigenti le vacanze superano la straordinaria percentuale del 50% (ne mancano ad oggi 166 su 329 in pianta). E così, tenendo conto dei prossimi collocamenti a riposo, si è dovuto prevedere nel Piano triennale un fabbisogno di 220 (!) Dirigenti nella sola amministrazione giudiziaria.

Vero è che la legge di bilancio per il 2023 prevede all’art. 1 comma 869 l’assunzione di idonei dei concorsi per dirigente di altre amministrazioni dello stesso Ministero della giustizia. 

Tale norma però autorizza a reclutare “nel limite delle vigenti facoltà assunzionali” e conseguentemente con numeri contenuti e tempi non brevissimi. 

E anche la segnalazione alla SNA di 70 posizioni dirigenziali per il DOG nel concorso bandito nel dicembre scorso non potrà avere effetti concreti prima di tre anni, con una evidente sottovalutazione della gravità del problema, comprovata dalla assenza - nella recente relazione del Ministro della Giustizia al Parlamento - di un pur minimo accenno alla urgenza del reclutamento di dirigenti per l’organizzazione giudiziaria.

Soltanto coprendo reclutando dirigenti potrà essere posto rimedio alla conseguente dilagante occupazione di magistrati fuori ruolo di posizioni a presidio di compiti gestionali e amministrativi e di dirigenti “a contratto”, reclutati in vari casi in modo opaco, ledendo il principio costituzionale del pubblico concorso.

La conseguente occupazione da parte di magistrati - con modalità non immuni da possibili operazioni di spartizione correntizia – anche dei vertici di maggiore responsabilità e di larga parte delle direzioni generali del Ministero della Giustizia ha per di più  l’effetto - antidemocratico e lesivo dei principi fondanti dello Stato di Diritto - di concentrare nelle mani di un solo potere, legislazione, amministrazione e giurisdizione.

Né possiamo esimerci dall’esprimere una motivata e forte opposizione al modo in cui si è attuato l'UPP, in particolare con il decreto legislativo n. 151 del 2022, che ha prodotto una traslazione di tutta la gestione del personale - AUPP, personale di cancelleria, tecnici, tirocinanti, ecc – dalla dirigenza verso i capi degli uffici e\o i magistrati da questi delegati. Un modello organizzativo centrato sul lavoro di squadra che, come dirigenti, abbiamo contribuito a ideare e promuovere, sta, in numerose realtà, trasformandosi nel "cavallo di Troia" con il quale dotarsi di agognate, quanto antistoriche, "segreterie particolari", sottraendo risorse all'unico settore di concreto supporto all’attività giurisdizionale: le cancellerie!

Soltanto valorizzando e rafforzando la dirigenza e ripensando la articolazione delle posizioni dirigenziali e delle fasce può invece essere restituito un sacrosanto ruolo alla dirigenza amministrativa nella costruzione del prossimo accordo integrativo del personale, nella rivisitazione delle figure professionali e delle politiche assunzionali, nella gestione di risorse ed edifici, nell’organizzazione a seguito delle riforme processuali e dell’Ufficio per il Processo.