Lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri della Giustizia e della Pubblica Amministrazione, alle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali della Camera e del Senato, alle Forze Politiche e Sociali, alle Organizzazioni Sindacali, alle Associazioni del mondo della Giustizia, agli Organi di Stampa.
Da sempre come Dirigenti della Giustizia abbiamo rappresentato l’anomalia istituzionale rappresentata dall’eccessivo numero di magistrati fuori ruolo presenti nel Ministero della Giustizia. Da ultimo, con una lettera indirizzata l’11 giugno u.s. al Ministro Bonafede, abbiamo ricordato che, quando venti anni fa con la riforma del Ministero furono istituite nuove direzioni generali, molte di esse (pressoché tutte quelle che esercitavano funzioni gestionali) furono attribuite a dirigenti di carriera: dalla Direzione Generale del Personale a quella dei servizi informatici, dalla Direzione Generale delle risorse materiali a quella del Bilancio. Così come altre posizioni rilevanti, ricoperte negli anni da dirigenti di carriera con ottimi risultati, quali quelle di vicecapo dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, degli affari di giustizia e dell’amministrazione penitenziaria.
Da allora è però iniziata una controriforma strisciante, in forza della quale si è arrivati alla situazione odierna nella quale tutte posizioni di capo dipartimento e vice, quasi tutti quelle di direttore generale e, persino, numerose di quelle di seconda fascia nel Ministero della Giustizia sono coperte da magistrati.
Ciò mentre negli Uffici Giudiziari si registrava la mancata attuazione del D.Lgs. n. 240 del 2006, legge con la quale era stata disciplinata, dopo lunghi lavori e riflessioni, la distinzione delle funzioni tra magistrati e dirigenti amministrativi. Senza dire della riorganizzazione della Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia, attuata espungendo dalla stessa tutta la dirigenza di ruolo.
Abbiamo più volte chiesto, su questi fondamentali temi, un cambio di passo, una svolta.
Ora, l’incessante e crescente richiesta, che viene dall’opinione pubblica e dalla politica, di una riforma profonda della Giustizia nel nostro Paese, ci spinge a formulare un forte appello affinché si arrivi ad un ripensamento su questa discussa prassi dei fuori ruolo al Ministero della Giustizia. Autorevoli studiosi si sono espressi in tal senso.
Il Prof. Sabino Cassese ha sottolineato, parlando di "magistratizzazione" del ministero della Giustizia1: “Il ministero è parte del governo e, quindi, dell'esecutivo, ma una gran parte del ministero è occupata da magistrati, in particolare le posizioni apicali .... i magistrati sono scelti per giudicare, ma vengono assegnati a compiti amministrativi, per cui non sono idonei perché non addestrati, né specializzati a questa funzione. Poi, fanno parte di un ordine autonomo, quello giudiziario, ma vengono messi al vertice dell'apparato amministrativo, che è parte del potere esecutivo. Che ne penserebbe Montesquieu, se fosse tra di noi?”
Circa un magistrato a capo di un importante dipartimento del Ministero della Giustizia il prof. Giovanni Fiandaca si è chiesto:2 “È stato selezionato per questo scopo o è lì perché ritenuto "bon à tout faire?”
Il prof. Valerio Onida ha voluto rimarcare3 “l’anomalia di un corpo amministrativo quasi interamente costituito, ai massimi livelli, da membri dell’ordine giudiziario” e sottolineato come “L’Amministrazione è o dovrebbe essere <<servente>> della politica, anche della politica giudiziaria, assicurando l’istruttoria tecnica nella formazione delle decisioni politiche e quindi delle leggi (si pensi agli uffici legislativi), e curando i procedimenti amministrativi necessari per la loro attuazione e per organizzare i servizi, nel rispetto dell’indipendenza dei giudici.” Peraltro “nemmeno si può dire che sia questione di competenza tecnico-giuridica: quella necessaria per organizzare e decidere i servizi amministrativi è diversa da quella richiesta per giudicare”. L’illustre giurista ha avvertito inoltre che “.. il frequente scambio fra funzioni giurisdizionali e funzioni amministrative svolte dalle medesime persone può nuocere sia alla indipendenza della magistratura, sia soprattutto alla indipendenza delle scelte politico-amministrative del Governo da eccessivi influssi <<corporativi>>.” Analogamente le riflessioni del prof. Ernesto Galli della Loggia hanno riguardato le evidenti anomalie del sistema4: “L’indipendenza dei magistrati dalla politica è stata assicurata dall’impossibilità per la politica di determinare la carriera dei magistrati e dall’obbligatorietà dell’azione penale per il pubblico ministero. Non minore insidia è rappresentata dalle offerte di benefici, cariche, incarichi, con cui direttamente o indirettamente la politica può allettare o ricompensare i magistrati. Offerte di cui è ovvia la capacità condizionatrice” ... “L’indipendenza dei magistrati è un bene posto a garanzia della collettività, non è un privilegio del singolo magistrato”.
Anche se non si ha qui il tempo di affrontare la delicata questione, che portò ai tempi dei lavori della Costituente ad affidare, con l’art. 110, al Ministero della Giustizia l’organizzazione dei servizi relativi alla Giustizia -senza che ciò facesse ipotizzare un rischio per l’indipendenza della Magistratura- vogliamo ricordare che già allora “ombre” erano state avvertite circa i rapporti con la politica5
Parimenti l’Avvocatura ha fatto sentire la sua voce su questi temi, come attestano recenti documenti delle Camere Penali, dove si è detto: “La magistratura italiana non si limita ad esercitare il potere giurisdizionale che la Costituzione le affida, ma letteralmente amministra e governa settori vitali del potere esecutivo, soprattutto - ed in modo assoluto ed incontrollabile - il Ministero di Giustizia. È necessario ed urgente un intervento che ponga fine alla prassi indecorosa dei fuori ruolo, perché in una democrazia il Governo è riservato a chi viene eletto dal popolo sovrano, e ad esso infine ne risponde. La Magistratura ha altra e diversa funzione, solennemente assegnatale dalla Costituzione.”6
Né sono mancati dichiarazioni di esponenti politici di tutti gli schieramenti, divenute incessanti dopo l’avvio dell’inchiesta della Procura di Perugia che ha fatto emergere come l’attribuzione di incarichi anche di vertice del Ministero della Giustizia sia stata strumentalizzata a fini opachi e diversi dagli obiettivi di innovazione e miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa. Accogliamo nondimeno con forte preoccupazione un disegno di legge sulla disciplina del conflitto di interessi all’esame della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati. Nonostante il condivisibile obiettivo di porre un argine al fenomeno delle “porte girevoli” tra politica e magistratura7, si propone tuttavia in detto testo8: " ... ai magistrati candidati ed eletti o ai magistrati titolari di cariche di governo è precluso il rientro nei ruoli organici della magistratura ordinaria o speciale di appartenenza al magistrato. Costoro, alla scadenza o alla cessazione del mandato, sono collocati nei ruoli amministrativi della propria o di altra amministrazione, conservando il proprio trattamento economico".
Si finisce così per disporre, con un rimedio peggiore del male, che i magistrati di rientro da esperienze politiche siano dirottati su posizioni amministrative anche del Ministero della Giustizia.
Le contiguità e le ambiguità del rapporto magistratura - politica, con tali disposizioni, riteniamo si amplifichino, con l’effetto di ingrossare, ancor di più e senza alcun limite numerico, le file dei magistrati che non esercitano la giurisdizione9.
Ne sarebbero anche accresciute le distorsioni denunciate dalla Commissione europea nel suo annuale confronto sulla efficienza, qualità e indipendenza dei sistemi giudiziari degli Stati membri dell’UE. Prima ancora che l’inchiesta sul “mercato delle nomine” nella magistratura abbia potuto avere i suoi effetti sull’opinione pubblica, i dati recentemente presentati per l’Italia, in termini di percezione dell’indipendenza dei giudici, sono già disastrosi, con un netto calo, nel 2018, rispetto al 2017 (oltre il 40% degli intervistati aveva un parere abbastanza negativo, il 15% molto negativo e ilrestante 15% non ha un’opinione in merito). Tra le principali ragioni di tale sfiducia, spicca la pressione sui giudici subita dalla politica (40% circa), quasi alla pari con pressioni economiche e altri interessi specifici, mentre poco sopra il 25% si piazzano lo status e la posizione dei giudici10.
In tale contesto è venuto il momento di valorizzare un ruolo professionale già presente nell’Amministrazione, grazie a reclutamento, formazione ed esperienza maturata, e capace di interpretare non soltanto gli indirizzi programmatici del Ministro della Giustizia, ma anche quelli dei Capi degli Uffici giudiziari, cui è affidata la responsabilità e il governo dell’attività giudiziaria.
E prendere atto che, sia in sede di amministrazione centrale, sia negli Uffici giudiziari, è funzionale all’indipendenza della giurisdizione, una dirigenza amministrativa con funzioni distinte da quelle dei magistrati.
Affidiamo pertanto senza remore a questa dirigenza di carriera, e non più a magistrati, le posizioni di vertice del Ministero della Giustizia dove si esercitino funzioni prettamente gestionali, rivedendo quelle norme contrastanti con una effettiva separazione tra politica, amministrazione e giurisdizione.
Non soltanto eviteremmo di distogliere dalle funzioni giurisdizionali un numero sempre maggiore di magistrati, ma arricchiremmo la cultura professionale e la governance dell’intero Ministero, in un momento nel quale avrebbe un grande bisogno di alimentarsi di più saperi, di più esperienze professionali.
In gioco non ci sono soltanto le legittime aspirazioni di un ruolo professionale, ma anche la capacità della nostra organizzazione di corrispondere ad una domanda di governo e di gestione dei processi di cambiamento di crescente complessità e spessore.
In assenza di un significativo e tangibile cambio di passo, in questi tempi in cui si stanno prefigurando un ruolo unico ed interministeriale della dirigenza e espletando concorsi unici per il reclutamento di nuovi funzionari, la nostra Amministrazione rischia di non essere più scelta dai migliori giovani, che finiranno per optare per Enti e Amministrazioni, nei quali trovare riconoscimento e valorizzazione. Se si vuole ciò, si abbia il coraggio di dirlo chiaramente, e di agire poi di conseguenza, lasciando anche andar via le figure dirigenziali che possano ambire a contesti più stimolanti.
Come dirigenti associati continuiamo ad auspicare che ciò non avvenga e a confermare instancabilmente la disponibilità e la determinazione ad assumerci le nostre responsabilità, affinché non vada ancora una volta sprecata ogni chance di riforma della Giustizia in questo Paese.
Il presidente Nicola Stellato